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Prima casa, parte dal rogito il calcolo del cambio residenza

 

 

 

Chi compra la prima casa e non risiede nel Comune ove l’abitazione è ubicata, ha tempo 18 mesi per trasferirvi la residenza; il termine decorre dalla data del rogito d’acquisto e non dal giorno di fine lavori, qualora oggetto dell’acquisto sia una casa in corso di costruzione. Così decide la Cassazione nell’ordinanza n. 9433 del 17 aprile scorso, in riforma di una sentenza della Ctr Toscana (n. 712 del 20 settembre 2016) nella quale era stato deciso, al contrario, che il termine di 18 mesi decorresse dal giorno di ultimazione dei lavori di costruzione.

La norma che regola il tema è contenuta nel comma 1, lettera a), della nota II-bis all’articolo 1 del Testo unico della legge di registro (Dpr 131/1986). Tale norma afferma che, per aversi l’agevolazione prima casa, occorre che l’immobile oggetto di acquisto sia «ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro 18 mesi dall’acquisto la propria residenza». Si pone, dunque, il tema di comprendere se il termine di 18 mesi inesorabilmente decorra dal giorno del contratto di acquisto o se, essendo l’immobile oggetto di acquisto per qualsiasi motivo indisponibile ad essere abitato (ad esempio, perché lo occupa un inquilino o perché vi siano lavori in corso o da eseguire ecc.), il termine possa invece decorrere dal giorno in cui l’impedimento è cessato.

Un tema collegato è poi quello se il contribuente possa dimostrare (per evitare la decadenza dall’agevolazione conseguente al decorso del diciottesimo mese senza che la residenza sia stata trasferita) l’esistenza di una causa di forza maggiore tale da impedire lo spostamento della residenza. Ebbene, la Cassazione, con l’ordinanza 9433/2018, ribadisce quanto già affermato con la sentenza 2527/2014, e cioè che i 18 mesi in questione si computano dalla data del rogito a meno che appunto ricorra una causa di forza maggiore, la quale, tuttavia, non ricorre nel caso del mancato completamento dei lavori di costruzione, in quanto si tratta di una situazione che non è qualificabile in termini di «inevitabilità e imprevedibilità».

La giurisprudenza di merito è invece molto più largheggiante. Se, infatti, la Ctp di Cagliari (n. 44/2015) ha deciso nello stesso senso della Cassazione, la Ctr Veneto (n. 34/2007) ha ritenuto che il termine dei diciotto mesi «decorre unicamente dal momento in cui l’immobile in corso di costruzione ed oggetto di compravendita è divenuto effettivamente idoneo all’utilizzo ed al soddisfacimento dell’esigenza abitativa». Nel medesimo senso la Ctp di Treviso (n. 26/2010) e, ancora, la Ctr Veneto che, nella sentenza n. 25/2015, ha puntualizzato che «nei diciotto mesi previsti per il trasferimento della residenza non va computato il periodo di tempo occorso per il rilascio del certificato di abitabilità».

Per Ctr Lombardia (4 gennaio 2016), il termine di 18 mesi non è perentorio, «laddove sussistano eventi impeditivi che possano aver ostacolato l’acquisizione della residenza in un dato Comune»; inoltre, secondo Ctp Reggio Emilia (16 maggio 2017), il termine di 18 mesi decorre dal giorno in cui (nella fattispecie: la costituzione di una servitù di uso pubblico, necessaria al fine dell’ottenimento del certificato di abitabilità) ricorrono tutte le condizioni occorrenti «per ottenere il certificato di conformità edilizia ed agibilità».

Nella risposta n. 5-08887 del 14 giugno 2016 a una interrogazione parlamentare presentata alla Camera dei deputati è stato rappresentato che l’agenzia delle Entrate ritiene che il termine di 18 mesi decorra dalla data del contratto di acquisto anche se si tratti di immobile in corso di costruzione; e che il contribuente può comunque validamente addurre, a suo favore, che il mancato trasferimento della residenza, è dovuto a causa di forza maggiore.

 

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